"C'è la bellezza e ci sono gli oppressi.
Per quanto difficile possa essere,
io vorrei essere fedele ad entrambi"
Albert Camus

mercoledì 26 settembre 2007

Dick Fosbury

"Un piccolo sobbalzo nella regione epigastrico-duodenale che a buon diritto chiamai… paura, o vigliaccheria emotiva".
Così recitava Giorgio Gaber nel suo monologo "La paura", così sento io oggi, me la sento addosso sta cazzo di paura ma non so di che.

Fermo, immobile come una statua, mi sento addosso il peso di quella statua (e dire che raggiungo i 65 kg a fatica, un fuscello come direbbe qualcuno: una statua di polistirolo dico io).
Fisso l'orizzonte sapendo che dietro di me ho un meraviglioso manto erboso, tagliato all'inglese, di colore verde brillante. Davanti, invece, vedo il principio di un precipizio, profondo non so quanto e colorato di nero (già perchè un precipizio non puo' che essere nero).
Ora, se cado all'indietro atterro su una morbida superficie accogliente come Wimbledon o come le braccia di una donna del sud. Se però cado in avanti... si fa tutto terribilmente complicato.

Non è facile cadere, ci vuole una raffica di vento triestino, un mancamento improvviso, una distrazione emotiva, un raptus. Da ragazzo praticavo atletica, per caso sono arrivato in finale alle regionali nel salto in alto. Nessuno mi ha insegnato come si saltava con tecnica, io prendevo la rincorsa, tracciavo una traiettoria circolare arrivavo nei pressi del materasso blu e mi davo un colpo di reni per saltare all'indietro e superare l'asticella.
Imitavo Dick Fosbury, colui che inventò il salto all'indietro.

Non ho mai avuto paura di buttarmi all'indietro nemmeno da una parete di 1.000 mt e percorrerla in corda doppia, nemmeno per respingere il pallone indirizzato sotto la traversa.
Buttarmi in avanti, invece, mi ha sempre generato un disagio che partiva dallo stomaco e raggiungeva la gola in pochi millesimi.

Sono lì su quel cazzo di lembo verde brillante, un passo e volo giù, un omaggio a Fosbury e volo su.

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