"C'è la bellezza e ci sono gli oppressi.
Per quanto difficile possa essere,
io vorrei essere fedele ad entrambi"
Albert Camus

venerdì 31 luglio 2009

IL 'DOCUMENTARIO' COME LA 'LANCIA' DI DON CHISCIOTTE

Intervista al regista di "Debito di Ossigeno", pellicola forte sul fenomeno della nuova povertà

Milanoweb ha avuto il 'piacere' di dialogare apertamente con Giovanni Calamari, giovane 'documentarista' milanese (con diramazioni anche nel mainstream) che ha terminato da qualche mese la sua nuova opera "Debito di Ossigeno" dedicata all'annoso fenomeno dei "nuovi poveri".

In attesa che la pellicola cominci a girare nei più importanti 'festival' italiani e (perché no?) europei, abbiamo avvicinato lo stesso regista per farci raccontare tutto l'indispensabile riguardo ad un soggetto sociale che, volente o nolente, riguarda da vicino tutti quanti noi... Ascoltiamolo.

Come nasce un progetto impegnativo come "Debito di Ossigeno"? E’ un’opera legata esclusivamente alla recente crisi economica globale oppure l’idea di un documentario del genere ti girava per la testa già da un po’?
"L'idea è nata un paio di anni fa quando ancora non si parlava di crisi ma tra le pagine interne dei quotidiani online si leggevano reportage di giornalisti che raccontavano il fenomeno della 'nuova povertà'. Osservando i dati dei vari Osservatori, ho notato che l’aumento in percentuale delle condizioni di indigenza cresceva tra la middle-class italiana e che la forbice tra nuovi poveri e nuovi ricchi stava aumentando progressivamente nel nostro Paese."

A Milano però...
"A Milano i segni di questa tendenza non li vedevo e nemmeno ora si notano nonostante la crisi conclamata. In pratica volevo capire, conoscere queste persone in difficoltà e raccontare le loro esperienze. Cosi è cominciata la lettura dei dati, dei libri sul tema, la ricerca dei possibili soggetti, la stesura del soggetto e la ricerca dei finanziamenti. Quando la Provincia di Milano ha indetto un bando di finanziamento per documentari, con il produttore Alberto Osella abbiamo preparato il progetto e partecipato alla selezione. A dicembre del 2008 siamo stati scelti assieme ad altri dieci progetti di altrettante realtà produttive milanesi e a gennaio sono finalmente cominciate le riprese."

Credi che lo si possa definire un documentario "civile", con un messaggio forte impiantato nella sua struttura, oppure ti sei limitato ad osservare con occhio clinico una situazione tragica come quella dei "nuovi poveri" sempre più diffusa oggigiorno…?
"Un'opera civile ha lo scopo di denunciare e ravvivare la memoria collettiva. Il mio documentario, invece, non denuncia e non ricorda: apre forse la strada a delle riflessioni sulle nostre vite e su come è basata la nostra società. La cultura del lavoro è radicalmente cambiata negli ultimi dieci anni: il ruolo dell’individuo si è ridotto a numero, il prodotto va realizzato in breve tempo per ottenere il massimo del profitto senza più considerare le capacità del lavoratore. Insomma, uno vale l’altro! Questa è una condizione che ha travolto prima la classe operaia poi quella degli impiegati e dei quadri."

Leggendo il tuo blog sembra quasi che "Debito di Ossigeno", più che quello di prodotto artistico, abbia ben presto assunto nella tua vita i contorni della battaglia privata e personale… Puoi confermarlo?
"Credo che il documentario non abbia una valenza propriamente 'artistica', non possiede la libertà di un film... Il documentarista racconta storie vere, certamente le interpreta ma il suo lavoro ha poco a che fare con l’artista; banalmente si avvicina di più al lavoro dell’artigiano, abile nell’utilizzare gli strumenti e creativo nel dare forma all’idea. Fare il documentarista nel mio Paese, più che un lavoro, credo sia una 'missione', è una battaglia dal sapore donchisciottesco... Ogni mio documentario è diventato col tempo una battaglia personale: credo molto nel valore sociale ed educativo del genere-documentario e soffro nel vedere quanto poco si fa in Italia per sostenere questo genere."

Il documentario ormai è finito: puoi illustrarci a grandi linee di cosa trattano i settanta minuti di "Debito di Ossigeno"?
"Il documentario racconta le vicende di due famiglie: Daniele ha 44 anni, ingegnere alla 'Motorola', è sposato con Sabrina che ha 40 anni ed è impiegata in una concessionaria d’auto. Hanno un figlio di 4 anni e una casa costruita in vent’anni di lavoro. Una famiglia normale, come tante in Italia. Un giorno, senza il minimo preavviso, l’azienda di Daniele chiude. Un mese dopo Sabrina viene 'tagliata' dal suo posto di lavoro. La seconda famiglia, invece, è atipica ma largamente diffusa: la protagonista è Fulvia, 37 anni, ragazza-madre con un figlio di 8 anni non riconosciuto e un lavoro precario. La sua storia inizia un mese prima della scadenza del suo contratto. Ho seguito queste due famiglie per due mesi interi cercando di raccontare come ci si sente quando si perde il lavoro, quando si ha il crollo assoluto delle certezze... Ho raccontato la fatica del vivere quotidiano, il rovesciamento dei ruoli all’interno di una famiglia, la solitudine e le differenti reazioni di fronte all’incertezza."

Come si passa da "Martha, Memorie di una Strega" a "Il Porno alla Sbarra" allo stesso "Debito di Ossigeno" nel giro di pochi anni? Sei maturato tu oppure, sotto sotto, c’è una sorta di 'fil rouge' dietro 3 documentari così eterogenei?
"Bé, fin dai tempi de 'Il Porno alla Sbarra' la mia ricerca ha sempre seguito una precisa direzione: sondare gli aspetti umani degli individui posti in condizioni di vita difficili. In questo ultimo lavoro ho voluto descrivere la condizione umana di persone che si ritrovano a fare i conti con una nuova realtà sociale: non provenendo da situazioni di povertà, sono privi di strumenti adeguati per affrontarla. Sono come sospesi, congelati nella loro vita precedente..."

In "Il Porno alla Sbarra", il tuo documentario del 2005, ti sei dovuto rendere quasi "invisibile" affinché il protagonista si confidasse in maniera più naturale possibile di fronte alla tua macchina da presa. E’ stato così anche in "Debito di Ossigeno"?
"Sì, anche se ho avuto molto meno tempo a disposizione per le riprese! In questo caso ho cercato di instaurare un dialogo molto aperto con i protagonisti sottoponendoli a molte interviste, chiedendo loro di esplicitare continuamente le proprie riflessioni. Poi il lavoro di montaggio mio e di Cristina Flamini, la montatrice di 'Debito di Ossigeno', è stato quello di pulire ogni loro consapevolezza dell’essere ripresi."

Il documentario è la tua unica cifra stilistica oppure, in futuro, ti piacerebbe cimentarti anche con la fiction? "Fiction", ovviamente, intesa in senso 'nobile'...
"Tutti i miei documentari sono montati con una struttura narrativa che si ispira alle regole delle sceneggiature cinematografiche però passare alla fiction è un’esigenza che prima di questo lavoro non ho mai sentito. Le due storie che compongono 'Debito di Ossigeno' offrono più di uno spunto per realizzare un film ed avere quella libertà creativa tipica della fiction; confesso che mi piacerebbe girare una pellicola cinematografica ed in questo senso il mio riferimento assoluto sono evidentemente i fratelli Dardenne."

Come ti regolerai con la distribuzione tradizionale di "Debito di Ossigeno"? Uscirà in poche e selezionate sale cinematografiche? Si troverà in commercio il 'dvd'?
"Sono domande alle quali per ora non si può dare una risposta. Dipende molto da come sarà promosso il documentario, a quali festival parteciperà nei prossimi mesi ma mi sento di escludere fin da ora una distribuzione cinematografica."

Ultima domanda: vorrei sapere del tuo rapporto con la città di Milano… La trovi una città imprescindibile per il tuo mestiere oppure Giovanni Calamari combinerebbe le stesse cose anche lontano da qui?
"A Milano ho ormai stretto una cerchia di relazioni che mi consentono di lavorare. E' una città che mi è abbastanza indifferente, tuttavia pensare di lasciarla per un'altra meta italiana è pura follia! Lontano da qui significa emigrare nel resto d'Europa o negli Stati Uniti quindi crearsi più agevolmente occasioni di lavoro... Ma resto ugualmente convinto del fatto che ci siano ancora molte cose da fare e da raccontare nel mio Paese."

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